Asterix di René Goscinny e Albert Uderzo


Gli affanni di un traduttore

“Gallia Omnia divisa est in partes quinque”, la Gallia è divisa in cinque parti. Non si scandalizzino gli studiosi di Giulio Cesare nè si preoccupino i liceali, ma senza questo scomodamento storico-geografico la saga di Asterix non avrebbe mai potuto essere scritta.

Intorno al 50 a.C., periodo in cui Goscinny e Uderzo ambientano le loro storie, la Gallia era in stato di completo asservimento, fatta eccezione (e questo al liceo non ce l'aveva detto nessuno) per un piccolo villaggio, “le village gaulois” per antonomasia, innominato ma ben determinato tra le città di Brest e Le Légué, che ancora resisteva all'invasore creando non pochi problemi alle guarnigioni circostanti e parecchie ulcere a Cesare.

Il quale Cesare aveva passato il 58 a sconfiggere gli Elvezi, il 57 a sottomettere i Belgi, in particolare i Nervi, il 56 a sconfiggere gli Aquitani per poter passare tranquillamente, nel 55, in Britannia.

Nel 52 aveva soffocato la rivolta di Vercingetorige conquistando Cenabum, Avaricum e Lutezia, sino ad assediare e radere al suolo Alesia nel 51

Ed è a questo punto, dopo un sommario racconto di quanto detto sopra, che Goscinny ci informa di un trascurabile dettaglio pur dimenticato dai libri di testo: Vercingetorige non “depose” le armi ai piedi di Cesare, ma le gettò sugli stessi con violenza, provocando la prima delle numerose urlate dell'imperatore… urlate che riprenderanno lo stesso tono isterico quando, nell'episodio dello “ Scudo degli Arverni ”, quelle medesime armi, in particolare lo scudo del condottiero gallico, saranno origine di una ennesima figuraccia.

Ecco la chiave delle avventure di Asterix: ambiente e personaggi reali ma deformati, come vuole la tradizione del romanzo storico da Walter Scott a Manzoni, dalla personale fantasia dell'autore. Fantasia che, in questo caso, è ironica, dissacrante e…esilarante.

Per conseguenza, non potendo negare le doti di condottiero di Cesare gli autori hanno l'accortezza di non mostrarlo mai in azione, bensì seduto nella sua sontuosa tenda e circondato da servili e imbecilli centurioni.

Il lato più appariscente del suo carattere risulta una tronfia presunzione mista a un'isteria da donnicciola (non è forse storico il fatto che Cesare fosse “marito di tutte le donne e moglie di tutti gli uomini?”). Il primo incontro tra Cesare ed Asterix, basato su canoni classici (“Ti concedo la libertà, Gallo, ma ci ritroveremo”, “Puoi contarci, Jules”) degni dell'avvio delle avventure di Fantomas e Juve piuttosto che Cheri-Bibi e Rouletabille lascia presto il posto, negli scontri successivi, ad un rapporto assolutamente informale.

Il rispetto che Asterix sente di dovere ad un avversario degno di lui si dissolve gradatamente man mano che il conquistatore prende i tratti di un burattino manovrato dagli abitanti del piccolo villaggio.

Peraltro l’imperatore comanda un esercito in cui si manifestano i sintomi della malattia che condurrà al totale disfacimento dell'impero: amore per le mollezze, inettitudine, codardia, presunzione, arrivismo, "grandeur”... ehmehm... l'aver usato questo termine dev'essere un lapsus freudiano: evidentemente c'è un qualche parallelismo tra i Romani del tempo di Asterix e i Francesi di quello di Goscinny. Giustamente Obelix ribadisce “Ils sont fous ces Romains” ( “Sono Pazzi Questi Romani”, come correttamente ha tradotto Marcello Marchesi trovando una nuova interpretazione del classico S.P.Q.R.) e, in effetti, ogni tecnica di combattimento, dalla temuta “testuggine” alle macchine da guerra, finisce col risolversi in colossali catastrofi degne di un film muto.

La vita del villaggio è osservata, invece, con occhi più indulgenti, dando la sensazione di una società campagnola e idilliaca, con valori genuini contrapposti a quelli dei biechi imperialisti romani.

Il fatto stesso che gli unici problemi sorgano, all'interno del gruppo, da quei difetti cronici dei Francesi (e non solo loro, forse dovremmo dire dei borghesi) mentre la struttura, la matrice sociale del villaggio è sana, pronta a fare autocritica, comunque in grado di risolvere all'interno ogni deviazione, ci indica l'oggetto delle simpatie degli autori. Simpatia non superficiale, va precisato, infatti Goscinny si è documentato a fondo sulla vita nelle tribù dell'epoca, e gli abitanti del villaggio sono per lo più caricature di personaggi e istituzioni realmente esistite.

Il fatto che il druido Panoramix, sacerdote e saggio dei villaggio nonché unico detentore della formula segreta della pozione magica, sia in realtà il vero nemico dei Romani, molto più del capo Abraracourcix (come appare evidente nelle avventure: “Il regno degli Dei”, “L'indovino” e “Il regalo di Cesare” ) rispecchia la reale situazione della Gallia disposta politicamente ad accettare il protettorato romano ma timorosa di doverne subire l'influenza culturale e religiosa. Ovviamente Goscinny ha preferito sorvolare sulle truculente pratiche sacrificali dei Druidi a vantaggio dell'aneddotica dei falcetti d'oro e del vischio, ma non è difficile, leggendo “Il duello dei capi”, vedere un chiaro riferimento all'importanza che ebbero i Druidi nel mantenere la coesione tra le varie tribù galliche a scapito dell'integrazione romana. Il fatto poi che Obelix sia scultore di menhir e contemporaneamente difensore del “gallismo” (absit iniuria verbis) non è casuale: i menhir, o pietrefitte, pare infatti fossero simbolo delle colonne che sostengono il cielo nella concezione astronomica dei barbari (nuovamente absit iniuria verbis), cielo che gli stessi temevano, unica loro debolezza, potesse precipitare da un momento all'altro. Volendo insistere nei riferimenti, non possiamo dimenticare Assurancetourix il bardo, antenato degli “chanteurs de gestes”, che, dalla Francia, si diffusero in tutta Europa narrando in versi accompagnati da strumenti a corda, epiche imprese e dolci storie d'amore.

Andando poi a frugare tra i personaggi minori troviamo proconsoli avidi di bottino e di orge alla Satirycon (“Asterix e gli Elvezi”) proprio come dovettero esistere nelle colonie romane, e capi galli corrotti dalla pax romana come dovettero essere quelli che chiesero aiuto alle legioni (“Il paiolo”) o ancora cacciatori di souvenirs come i legionari dello “Scudo degli Arverni”.

A questo proposito rimarchiamo una volta di più l'esattezza della storia: effettivamente il luogo della sconfitta di Alesia e della resa di Vercingetorige è rimasto ignoto sino a pochi anni fa.

Personaggi reali, come abbiamo visto, che Goscinny insaporisce con arguti riferimenti al passato e, soprattutto, al presente. Così anche i Galli subiscono il fascino di una biga carrozzata a Milano ( “Asterix e i Normanni” ) e i Romani adorano il teatro provocatorio d'avanguardia ( “Asterix e il Paiolo” ) e ancora i Britanni impazziscono per quattro bardi cantautori ( “Asterix in Britannia” ). Per non dimenticare o trascurare una situazione, una leggenda, un luogo comune Asterix viaggia per mezzo mondo, osserva, commenta, ridicolizza la precisione maniacale degli Elvezi con le loro clessidre a cucù, lo spirito levantino di Greci e Fenici, il raffinato cerimoniale britannico della tazza d'acqua calda con una nuvola di latte (il tè non era ancora stato importato, ci penserà Asterix stesso) e via ironizzando.

Prima ancora di mandare i due irriducibili galli in America, nel "Grande viaggio”, Goscinny e Uderzo avevano dichiarato: “Quando realizziamo un'avventura di viaggio ci documentiamo direttamente recandoci nel paese ove essa è ambientata... ma riusciamo sempre a scontentare tutti: quando ci riconoscono, gli abitanti di ogni paesino vorrebbero che ambientassimo la nostra storia proprio lì, tra le loro case, e poi, quando l'episodio è pubblicato, tutti si lamentano perché abbiamo ironizzato sui tratti più caratteristici, e quindi più intimamente inviolabili, del loro carattere, e ci accusano di cadere nei luoghi comuni”.

I luoghi comuni, effettivamente, si sprecano, ma sono sempre rigirati con un gusto tutto francese dell'ironia sottile sovrapposta all'ironia evidente.

La preoccupazione degli autori nei confronti della seria documentazione e delle serie reazioni dei “documentati” può essere perfettamente esemplificata dalla prefazione al volume “Asterix in Corsica” quando, dopo una lunga elencazione delle bellezze e delle tradizioni dell'isola (le stesse bellezze e tradizioni che verranno ferocemente prese in giro in ogni pagina dell'episodio) concludono dicendo: “Perché questa prefazione? Perché i Corsi, individualisti, ospitali, leali e fedeli amici, eloquenti, coraggiosi e amanti della loro terra sono anche qualcosa di più: sono permalosi”.

Se ne potrebbe dedurre che Goscinny e Uderzo non si preoccupino altrettanto della permalosità degli Spagnoli, pigri e rissosi, né dei Normanni o dei Goti, ottusi e violenti, né, tantomeno di quella dei Francesi, sempre soltanto tremendamente borghesi.

Le mogli legate al successo del marito, le liti negli ingorghi, la seccatura dei lavori in corso, il problema del pesce fresco e del cognato più ricco, tutto dà un'atmosfera casereccia alle avventure che non nasconde, di fondo, l'insofferenza di chi vorrebbe essere e vorrebbe che i suoi lettori fossero al di sopra di queste sciocchezze.

In questa smitizzazione delle cose prese sul serio va vista anche la presenza di un gruppo di pirati apolidi e sfortunati che, per loro disgrazia, si trovano sempre sulla strada di Obelix. Questa ciurma è, infatti, la caricatura di un equipaggio “serio” del mondo dei fumetti, quello del pirata Barbe Rouge ideato da Jean Michel Charlier, collega e amico di Goscinny, un tempo caporedattore di “Pilote”.

Sempre risate in famiglia dunque. Ma il gusto della risata, della sorpresa, non può essere attribuito solo alle battute, anzi trova la sua forza e la sua dimensione proprio nel contesto pignolescamente preciso costruito da Uderzo.

Vedere Obelix far collezione di elmi romani in una ricostruzione di Roma degna di un volume di storia dell'arte non può che caricare lo spirito delle battute di una serietà assolutamente ineguagliata. Lo stesso si può dire per le corse delle barche di papiro sul Nilo o delle gare sportive a Olimpia, quando addirittura la ricostruzione archeologica non diviene a sua volta spunto per particolari battute, impossibili senza un supporto grafico così preciso, come nel caso del naso della Sfinge, in “Asterix e Cleopatra”.

Il giorno in cui i libri di storia dell'architettura propinati ai liceali saranno illustrati da Uderzo e commentati da Goscinny non è forse lontano, ma sarà, comunque, troppo lontano.

Mario Gomboli

Asterix al Cinema, Vallecchi editore, 1976

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