Asterix di René Goscinny e Albert Uderzo

Interviste a Goscinny

Nel mio mestiere, i primi passi sono stati quelli di un apprendista disegnatore in una agenzia di pubblicità’ argentina, a Buenos Aires verso il 1944. Dovevo avere 17 o 18 anni, e avevo gia’ fatto non poche cose che però non avevano nulla a che vedere con il disegno. In seguito, sempre in Argentina, sono diventato l’assistente di un disegnatore pubblicitario, poi me ne sono andato negli Stati Uniti, fino al 1945, dove mi sono guadagnato da vivere come impiegato in una camera di commercio.
Dopo un periodo di grandi difficoltà’ economiche, verso il 1948 sono ridiventato disegnatore in uno studio dove si trovavano Harvey Kurtzman, Will Elder, John Severin... che avrebbero poi creato il celebre MAD. Ma li ho conosciuti prima di MAD, e abbiamo lavorato assieme a New York per dei libri d’infanzia, di pubblicità’, piccoli lavori di questo tipo.
Dopo questo, sono diventato direttore artistico presso un editore di libri per bambini. Questo editore è fallito e ho trovato che, sette anni in America, cominciavano ad essere abbastanza, e ho avuto voglia di tornare in Europa e di lanciarmi nel mondo del fumetto. Questo perché nel frattempo avevo conosciuto dei disegnatori europei che si erano sistemati negli USA: Gillain e Morris. Questi mi hanno incoraggiato a provare il fumetto. Poiché mi piaceva parecchio, ed era uno dei miei vecchi sogni, ho fatto un fumetto che si chiamava “Dick Dicks”: è il mio vero e proprio debutto in questo campo.
A New York nel 1940 conobbi l’editore Dupuis e soprattutto Georges Troisfontaines che aveva a Bruxelles una agenzia, la World Press, e che forniva del materiale a Dupuis. Troisfontaines mi invitò a trovarlo a Bruxelles, ed è rimasto sorpreso nel vedermi sbarcare un giorno, con le 19 tavole di “Dick Dicks”. In un anno ha provato a piazzare queste tavole, e, curiosamente, è stato un altro che alla fine è riuscito a venderle. Ho continuato per un certo periodo d’anni, facendo lo sceneggiatore e i disegni fino al 1951, quando un giorno Troisfontaines mi ha chiesto di far parte di uno degli uffici che apriva a Parigi. Ed è stato là che ho conosciuto Uderzo. Entrambi avevamo messo in piedi una quantità’ di fumetti, quali “Benjamin et Benjamine”, “Jean Pistolet”, “Luc Junior”...
Ho conosciuto Morris a New York, nel 1948. Parlavamo del suo Lucky Luke e ne abbiamo sempre più’ parlato fino al giorno in cui qualche anno più tardi mi ha chiesto se mi interessasse di riprendere la storia. E ne avevo veramente molta voglia, perché era una storia che sentivo particolarmente.
La serie “Le Petit Nicolas” è nata nel 1954. Sempé faceva nel giornale “Le Moustique” dei disegni umoristici con un piccolo personaggio, e gli abbiamo proposto di utilizzarlo per un fumetto. Poiché egli non sceneggiava, mi hanno chiamato. Poi ho proposto a Sempé di riprendere Nicolas, ma con uno stile più elevato, con un’idea di stile più originale, che serviva per far parlare i personaggi e quindi di inventare un linguaggio di bambini. È stato un successo incredibile, tanto che ci è stato chiesto di continuare e abbiamo fatto Nicolas tutte le settimane per quasi otto anni.
Dopo un certo periodo di tempo c’è stata una rottura con Troisfontaines: Uderzo, Charlier, io e un altro ragazzo che si chiamava Hebrard (responsabile della pubblicità di World Press), abbiamo formato una nostra società’, Edifrance, agenzia di pubblicità’, di stampa... che apparteneva a tutti e quattro e che aveva come cliente base il cioccolato Pupier, per il quale abbiamo pubblicato “Pistolin”.
Nel 1959 Uderzo, Charlier ed io assieme ad un piccolo gruppo, fondammo il giornale Pilote. E bisognava creare delle serie nuove. Allora abbiamo cercato e abbiamo trovato Asterix. Il primo albo ha venduto appena 6.000 copie. Ma al secondo avevamo raddoppiato, e poi è stata una progressione geometrica. Nell’estate del 1965 ero a Biarritz e mi ricordo che ho sentito dei ragazzi per la strada, che dicevano “Sono pazzi questi romani” e altre espressioni del genere.
Effettivamente in quel momento gli adulti hanno cominciato a comprare loro stessi gli albi e ad ammettere che li leggevano. C’è stata “un’ondata” Asterix, se ne parlava dappertutto.

La serie Iznogoud è nata in modo un po’ speciale. È curiosamente nata da un numero di “Le Petit Nicolas” che facevo con Sempé. Avevo scritto una storia dove Nicolas era in vacanze in una colonia, con un sorvegliante che raccontava delle storie ai ragazzi. E raccontò la storia di un cattivo gran visir che voleva sempre diventare califfo al posto del califfo stesso. Tutto qui.
E, quando ci è stata chiesta una serie a Tabary e me per la rivista “Record“, ho pensato di fare una parodia delle mille e una notte, prendendo sempre il tema del visir che voleva diventare califfo e non ci riusciva mai. E poi ho deciso che avrei lasciato alle mie debolezze di trovare i giochi di parole più atroci.

Estratto dalla rivista “Les Cahiers de la bande dessinée” n. 22, del 1973.

 

Testimonianze

“Mi sono sempre ispirato alle pagine rosa del Petit Larousse per far parlare i miei romani. Mi è capitato di ricevere delle lettere di latinisti distinti che mi segnalavano un errore in una particolare frase, e io li rimandavo alla pagina del Petit Larousse. Io non posso fare errori: non ho mai studiato latino!”

“Ho toccato la mano di Brassens, sono in un’ottima intesa con Sempé, ho conosciuto anche René Fallet, una sera a Montmartre, ho pure salutato Marcel Ayme che parlava ai piccioni. Allora, quando mi domandate chi sono oggi, rispondo che sono l’uomo che non ha detto buongiorno a Goscinny”.

 

I DALTON da René Goscinny

Gli imbecilli ci sono sempre nelle mie opere. Bisogna dire che amo molto gli imbecilli; insomma, li amo nella misura in cui li invento, e dove, di conseguenza, li posso controllare. Amo gli imbecilli perché sono una forza comica straordinaria. Amo il loro candore, la loro tenacità’, la loro infallibilità’ nell’errore, il bagliore di falsa intelligenza nei loro occhi, e il loro sorriso soddisfatto quando tutto crolla per causa loro tutto attorno e su di loro.
Ancora, quando Morris, avendo ucciso i primi Dalton che creò, mi ha chiesto di resuscitarli, in un modo o nell’altro, ho con entusiasmo inventato i cugini Dalton, i quattro cavalieri della stupidità. Joe, William, Jack e Averell.
I due elementi trainanti dei quattro sono Joe e Averell; e quando dico elementi trainanti, non voglio dire che vanno avanti per primi. Piuttosto vagano in tutte le direzioni, tranne che in quella giusta.
Joe, il più piccolo, il più cattivo e quindi di conseguenza il più stupido (ho il vizio di pensare che in generale, la cattiveria non è una prova di intelligenza), Joe, quindi, è il capo. In ogni caso, è accettato come se lo fosse dai fratelli. Ho concentrato su di lui tutti i difetti possibili e immaginabili: è quindi ovviamente stupido, ma è anche egoista, vanitoso, crudele e avido. Mi servo di lui per provare a che punto i suoi fratelli sono idioti, perché essi lo ammirano, lui che è il più’ stupido di tutti. Il ragionamento può far venire il capogiro, ma la stupidità è insondabile, è riconosciuto.
All’altro estremo c’è Averell, il più alto. Tutti questi fratelli lo prendono in giro, perché è considerato come il più’ scemo fra di loro. Quando dice una cosa, gli altri tre sbraitano contro di lui: taci! Averell è il “gaffeur” fatto persona. È il tipo che dice alla sua vittima: “Reggi questa pistola mentre vado a prendere una corda per impiccarti” Le sue motivazioni sono semplici: gli piace mangiare. Morris e io, d’altra parte, siamo abbastanza fieri di constatare che il grido di guerra di Averell “Quand’è che si mangia?” è diventato celebre.
Averell arriva a capire le cose sempre un po’ dopo gli altri, e poiché, riguardo ai suoi fratelli, capisce di traverso, interpreta al contrario la verità, alle volte. Ma non dura troppo.
William e Jack costituiscono il coro greco. Sempre assieme, uno finisce le frasi cominciate dall’altro, sono uniti nella loro devozione verso Joe e il loro astio verso Averell. Ho l’abitudine, quando scrivo una sceneggiatura per Morris, di citare i Dalton per ordine di statura (è anche così che si muovono spesso: in fila indiana, il più’ piccolo davanti, il più’ grande dietro). Ebbene, per molto tempo, non sono riuscito a capire chi fosse Jack e chi William. Nonostante avessero meno personalità’ dei loro due fratelli, avevano un ruolo essenziale. William e Jack mi permettevano di commentare e di sottolineare i ragionamenti bislacchi degli altri.
In ogni caso, ci sono due misteri che riguardano i Dalton. Nonostante ostentino ben pochi sentimenti umani, hanno un senso della famiglia indefesso. I quattro fratelli sono inseparabili, e pronti a correre dei grandi rischi per aiutarsi l’un con l’altro. L’altro enigma, che ci rallegra, è che questi quattro orribili tipi sono simpatici e che i nostri lettori li adorano.
Sentimento incomprensibile, ma che ci rassicura, a noi autori, sempre inquieti sul domani: i Dalton ci confermano che c’è’ un avvenire per gli imbecilli. Siamo quindi tranquilli.
E qui riscontriamo un ulteriore difetto dei Dalton: sono contagiosi. Almeno per Morris e me, che li frequentiamo da così molto tempo: quand’è che si mangia?

Traduzione della pagina: http://www.bdparadisio.com/intgosc.htm

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