by Kumagoro
Johji Manabe è nato nel dicembre 1964. A soli vent'anni, ancora studente
di design e indirizzato a divenire un animatore, viene scelto dai lettori
della rivista Comicomi, cui aveva inviato una storia di poche pagine per un
concorso. Il successo è alle porte. Dopo alcuni altri racconti brevi (dei
quali il più conosciuto è sicuramente Love Syncroid), avviene presto
l'esordio fulminante di una serie interamente sua, la celeberrima
Outlanders
(id., 1984, pubblicato dalla Granata Press su Mangazine Speciale nn.1-12;
lunghezza originale: 8 tankobon), ossia il fumetto che lo consegnerà al
successo mondiale.
Inoltre, gli inediti in Italia Capricorn (lunghezza originale: 5 tankobon, pubblicato in volume dalla Wing Comics), storia dalle venature fantasy in cui il triangolo di protagonisti (una beautiful girl aliena e due liceali giapponesi) si divide tra la Terra e il pianeta del titolo, finito in "risonanza dimensionale", tra mirabolanti trasformazioni in draghi e scenari evocativi, Dora (lunghezza originale: 1 tankobon, pubblicato in volume dalla Wing Comics), Junker e soprattutto Rai che, ancora in corso di pubblicazione in Giappone, con 15 tankobon all'attivo è già diventata la serie più lunga della carriera di Manabe. Spesso Manabe o i suoi assistenti (Masahiko Yamashita e Hiroyuki Hirayama) hanno realizzato brevi storie collaterali legate alla saga principale di questo o quel manga, come nel caso degli episodi apparsi anche in Italia a corollario di Outlanders e Caravan Kidd. Ancor più spesso gli autori dello Studio Katsudon (e soprattutto Yamashita) si sono cimentati nei caratteristici "meta-fumetti", piccole strisce umoristiche molto popolari trai mangaka (ottime per sfogare lo stress da superlavoro e creare un rapporto più stretto e meno impersonale con il pubblico), e la loro tipica icona caricaturale è comparsa persino tra le vignette più affollate di qualche storia, magari seduta al tavolo di un tipico saloon galattico... Delle opere di Manabe sono state realizzate alcune trasposizioni animate: 1 OAV è stato tratto sia da Outlanders che da Capricorn (rispettivamente di 50 e 45 minuti, fattore che ne sacrifica notevolmente la forza narrativa), mentre il più vasto corposo Rai ha generato una serie TV. Lo stile manabiano è chiaro ed evidente a chiunque abbia letto anche solo qualche episodio di un suo fumetto. Eppure, questa grande fedeltà a temi e situazioni, che potrebbe essere letta come un limite, un pericoloso scadere nella ripetizione e nella mancanza di idee, non si risolve in questo. L'universo di Manabe è una costante caotica, e contiene tutto quello di cui autore e lettore hanno bisogno, e molto di più. All'inizio di Outlanders, sua prima esperienza editoriale, le indicazioni
dall'alto dei suoi publisher stavano generando una storia molto più tipica
di come si è poi evoluta: una sorta di invasione spaziale nagaiana con terribili
devastazioni e umanità ammutolita come in Devilman, resa però, oltre che con un
appeal grafico notevolissimo per quanto concerneva le astronavi organiche, con una
caratterizzazione dei personaggi proveniente dritta dritta dalle pagine della Takahashi.
E, naturalmente, strabordante di ispirazioni dai suoi miti personali. Se,
certamente, Manabe deve aver letto tutte le creazioni di Rumiko Takahashi fino
ad allora edite (e Lamù/Urusei Yatsura in particolare), la sua immensa ammirazione
riversata nelle sue opere va innanzitutto alla leggendaria Trilogia di Guerre
Stellari di George Lucas, che in quegli anni era appena giunta a conclusione.
Innumerevoli sono gli elementi di ispirazione rintracciabili: L'Impero malvagio
(anche se in fondo analizzato in maniera meno manichea rispetto a quanto proposto
da Lucas: lo stesso Quevas deve confrontarsi con problematiche inedite, quali il
conflitto tra ragion di stato e sentimenti paterni; e non ne esce in maniera così
terribilmente univoca), le truppe da assalto, le divise in stile World War II,
i mezzi da guerra più potenti di ogni immaginazione (come una "certa" stazione
spaziale orbitante delle dimensioni di un luna…), i pianeti che esplodono, gli
avventurieri spaziali, gli eroismi compiuti con il cuore in mano e il sorriso
sulle labbra, e soprattutto i folkloristici e coloriti alieni che formano un
crogiolo di razze scorrazzante per ogni dove ... Ma il fulcro di tutto il costrutto immaginario di Manabe, al di là della
sua perizia grafica ammirevole e in continua evoluzione (il suo mecha dettagliatissimo
quanto suggestivo è trai migliori che possiate incontrare in un manga), sono i suoi
straordinari protagonisti. A partire, naturalmente, dall'immancabile e fondamentale
"beautiful girl" ("with sword", come Kahm, Mian o Karula di Drakuun, o "swordless"
come Dora o Mohna di Capricorn), l'eroina sexy e prorompente spesso dotata di qualche
esotica ma stuzzicante caratteristica, come un paio di involute corna e/o una fluente
coda di volpe, e che in sé racchiude tanto un fan service ammiccante, spontaneo e divertito
(che in nessun modo risulta ingombrante), quanto l'estremizzazione dell'inversione di ruoli
tipica degli shonen anni '80: il protagonista maschile, di norma imbranato ma dal cuore
puro, soggiogato dalla forza travolgente del suo oggetto del desiderio, riuscirà ad
avvicinarla insegnandole il potere dei sentimenti. La donna forte tratteggiata da
Manabe assurge al suo ruolo di eroina simbolo di una nuova dimensione esistenziale
nel momento in cui impara ad amare. Johji Manabe in breve: un mangaka che è stato capace di riunire tanti stili a formarne uno personale, unico e nuovo, trascendendo tutte le ispirazioni. Un uomo che ha saputo rendere tangibili e visibili i suoi sogni. |